Villa Imperiale
“Villa Imperiale… la percezione di un sogno, la magia assoluta del sogno italiano di bellezza” (Philippe Daverio)
LA STORIA DELLA VILLA
Il nome “Imperiale”.
Il nome di Villa “Imperiale” deriva dall fatto che nell’anno 1468 l’Imperatore Federico III d’Asburgo, in viaggio verso Roma ed ospite dei signori di Pesaro, gli Sforza, pose la prima pietra dell’edificio. È altresì probabile che il primo architetto della Villa possa essere stato Giorgio Orsini da Sebenico, già impegnato con gli Sforza. Oggi il nucleo originario della Villa Sforza, tutto in laterizio, si presenta esternamente in parte trasformato.
Negli stessi anni, nella vicina Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta affida a Leon Battista Alberti la realizzazione del Tempio Malatestiano e, nell’altrettanto vicina Urbino, Federico da Montefeltro fa aprire il cantiere del Palazzo più celebrato del Rinascimento. Anche Pesaro partecipa a questa splendida stagione artistica: ne sono testimonianza i monumenti quattrocenteschi nel centro storico e numerosi dipinti di importanti artisti, italiani ed anche non italiani, rimasti in città o dispersi nei musei del mondo.
Dopo il 1512…
I Della Rovere, estinto il ramo pesarese degli Sforza, estendono i lorto domini alla città di Pesaro. Erano già feudatari del governo della Chiesa nel ducato già dei Montefeltro dal 1508, l’anno della morte dell’ultimo duca feltresco. I Della Rovere preferiranno poi Pesaro come centro politico del loro governo, trasferendovi la corte e dotando la città di ogni infrastruttura propria di una capitale… capitale di un ducato piccolo ed istituzionalmente fragile ma pur sempre una capitale.
Dal 1516 al 1521 Francesco Maria I Della Rovere è costretto ad abbandonare il suo ducato (che viene temporaneamente assegnato dal papa Leone X al nipote Lorenzo dei Medici): Francesco Maria I al suo ritorno in patria illustrerà, non senza parzialità, le sue traversie ed il suo “curriculum” di grande condottiero ed uomo politico proprio qui a Villa Imperiale, negli affreschi delle otto sale realizzati nella preesistente dimora sforzesca. L’Imperiale “Nuova”, con i suoi giardini di delizie, nasce in questo stesso periodo.
L’ALA SFORZESCA E LE OTTO SALE AFFRESCATE
L’ingresso e il primo cortile.
Si accede alla villa edificata dagli Sforza attraverso un portale in pietra bianca d’Istria,in cui, al centro dell’architrave, compare il leone rampante sforzesco. Il portale è sormontato da un altro stemma dove si leggono il nome del primo committente – ALEXANDER SFORTIA – ed una data – MCCCCLXVIII – che indica la probabile data del termine dei lavori nel ‘400.
Dopo aver attraversato il cortile si sale al primo piano: lì si trovano le otto sale completamente affrescate nel XVI secolo.
Il Piano Nobile.
– Sala “del Giuramento”:
al centro un finto arazzo in cui si rappresentano le truppe fedeli a Francesco Maria I mentre pronunciano il giuramento di Sermide (1517). Questa sala è stata in massima parte eseguita dal pittore Raffaellino del Colle.
-Sala “delle Cariatidi”:
al centro il duca reduce da una battaglia per riconquistare il ducato sottrattogli dai Medici. Parte delle cariatidi – citazione ovidiana -, dei paesaggi e parte della decorazione del soffitto sono da attribuire al pittore ferrarese Dosso Dossi. Questa stanza è l’unica a non avere alcuna architettura dipinta.
-Sala “dei Semibusti”:
Agnolo Bronzino ha realizzato i cartoni dei personaggi che circondano la scena centrale del soffitto; i semibusti, che danno il nome alla sala, sono quelli raffigurati nelle lunette. Al centro: il duca partecipa all’incoronazione di Carlo V (Bologna 1530). Questo evento suggella la sua definitiva riconquista, anche dal punto di vista della forma istituzionale, del ducato.
-“Studiolo”:
nelle pareti panoplie e cariatidi marmoree; i paesaggi dei riquadri sono perduti. Al centro: “elezione” fiorentina del duca. Sempre nel soffitto compaiono grottesche e la Pace che incendia le armi.
-Sala “degli Amorini”:
decorata con grottesche, elementi vegetazionali, medaglioni monocromi e con puttini nelle lunette. Al centro il duca viene nominato Capitano Generale della Chiesa o Prefetto di Roma. Gli intrecci vegetali ed i paesaggi potrebbero essere opera di Camillo Cappelli detto il Mantovano.
-Sala “delle fatiche d’Ercole”:
sono rappresentate in otto lunette di questa sala. Nelle pareti, sopra un alto basamento i cui sono raffigurati dei “cavalieri” monocromi, finti arazzi contengono scene ricollegabili a temi amorosi; si riconoscono: “Vulcano che forgia frecce per Eros”, “Psiche spia Eros dormiente”, “Danae riceve la pioggia d’oro”; nella volta compaiono di nuovo le grottesche e, ripetuti quattro volte, “Venere e Cupido”; al centro il doge Andrea Gritti concede il bastone di comando al duca.
-Sala “dei Fiumi”:
il Metauro… l’Isauro (Foglia)… il Marecchia… il Rubicone… il Tevere… l’Arno… il Po… il Tronto… forse il Misa…sono personificati da uomini distesi, dipinti a monocromo, con accanto un vaso dal quale fuoriesce acqua. Sono stati eseguiti utilizzando cartoni di Agnolo Bronzino. Nella stessa sala il soffitto piano contiene riquadri con le iniziali di Francesco Maria FM, la prime due lettere di Leonora LE, una “corona che cinge due rami di palma”, il bucranio, il travaglio. Fa bella mostra di sé il busto del papa, nato ad Urbino, Clemente XI.
-Sala “della Calunnia”:
dipinta quasi interamente da Raffaellino del Colle, questo ambiente era, come la sala del Giuramento, destinata probabilmente ad accogliere personaggi di rango elevato che rendevano visita al duca. Le quattro pareti contengono affreschi raffiguranti: la “calunnia di Apelle” (ovviamente in questo caso il calunniato è il duca); l’apoteosi dell’innocente (ancora il duca) al cospetto di una Dea benefica e fra l’Abbondanza – la donna con le spighe di grano – e la Pace – la donna che incendia le armi; le tre virtù teologali – Speranza, Fede e carità – e, in sintonia con tutti i significati, Diana Efesia.
Le ultime due sale.
Si differenziano dalle prime sei per i soffitti piani e per l’evidente riduzione degli elementi vegetali negli affreschi. Nella sala della Calunnia (o dello Zodiaco) le scene dipinte a monocromo dipinte nelle parte più alta delle pareti, recentemente sono state lette come le fasi di iniziazione di una giovane donna al culto della Dea Iside.
L’itinerario di visita alle otto sale si può quindi suddividere in tre fasi:
nelle prime tre sale si allude in modo evidente alla riconquista del ducato avvenuta dopo l’esilio forzato del duca nel mantovano; le successive tre illustrano la carriera politico-militare di Francesco Maria I; le ultime due sono l’esemplificazione delle vicende politiche del duca ma anche, e soprattutto, delle raffinate frequentazioni culturali di Eleonora Gonzaga, essendo a lei riconducibili le ricorrenti citazioni del mondo e della cultura classica, citazioni presenti anche nelle prime sei sale. Nella terza, quarta, quinta e sesta sala si trovano le grottesche, ulteriore citazione dell’antico che i pittori dell’Imperiale, in buona parte provenienti dalla scuola raffaellesca, dovevano conoscere molto bene. In ogni sala poi si trovano dipinte tantissime varietà di specie vegetali: un vero e proprio manuale di botanica, aggiornato anche alle piante recentemente introdotte nel vecchio mondo dopo la scoperta delle Americhe.
Ville Roveresche scomparse nel Parco San Bartolo.
Oltre alla Villa Imperiale, nel colle San Bartolo, oggi divenuto anche Parco Naturale Regionale, esistevano nel XVI secolo altre ville fatte edificare dai Della Rovere: nei pressi della stessa Imperiale, più o meno dove ora c’è il faro, Francesco Maria II, il nipote di Francesco Maria I, fece costruire, su disegno dell’architetto Girolamo Arduini a partire dal 1583 la cosiddetta “Vedetta”, purtroppo la si può vedere solo raffigurata in alcuni dipinti d’epoca e in alcuni piante in quanto andò in rovina già nel XVIII secolo.
Altro edificio scomparso è la villa della Duchessa.
Fu fatta costruire da Ippolito Della Rovere, il padre di Livia seconda moglie dell’ultimo duca di Urbino. La villa si trovava probabilmente nell’attuale quartiere di Soria; anche questo edificio può essere ammirato solo nei dipinti dell’epoca: in particolare in quello di Francesco Mingucci che la rappresentò nel 1626. Quest’ultima villa potrebbe essere identificata con la “Villa di Soria” citata in una pianta dell’Archivio di Stato di Firenze.
L’IMPERIALE NUOVA
La parte cinquecentesca della Villa venne costruita, accanto alla preesistente dimora quattrocentesca degli Sforza, dall’architetto, pittore e scenografo urbinate Girolamo Genga, in un arco di tempo compreso fra il terzo decennio del XVI sec. e l’inizio del quarto, per assolvere alle esigenze della nuova corte roveresca.
L’Imperiale nuova è un monumento edificato per esplicare non solo un ruolo politico di “rappresentanza” ma soprattutto culturale.
Molti degli intellettuali che hanno frequentato la corte roveresca hanno lasciato testimonianze preziose sulla villa e sulla vita che in essa si svolgeva.
Articolata in tre livelli terrazzati, che si adattano all’orografia del colle San Bartolo, la nuova fabbrica riassume i temi più significativi dell’architettura genghiana: il rapporto con l’antico, la scelta dei materiali costruttivi, gli elementi della tradizione architettonica classica accostati ed assemblati in un inedito sperimentalismo; nella nuova villa l’architetto inoltre realizza sorprendenti soluzioni architettoniche : coperture piane interamente praticabili e dotate di balaustre, totale indipendenza fra percorso e spazio da raggiungere, eccentriche planimetrie delle sale, realizzazione di tortuosi corridoi. La realizzazione di questo complesso sistema di collegamenti funzionali consente di accedere o alle nuove sale, realizzate soprattutto nel prospetto che si affaccia verso la valle del Foglia, oppure di raggiungere i giardini . In questi ultimi, man mano che si sale di quota, le architetture progressivamente si semplificano. Tutti queste parti del nuovo complesso tendono a creare un’associazione tra le architetture della villa e la natura circostante, ricreando l’intreccio dei sentieri del bosco nella combinazione dei percorsi all’interno della villa.
Protagonista assoluta della vita culturale della corte roveresca fu la Duchessa Eleonora Gonzaga.
Eleonora, sposa di Francesco Maria I Della Rovere, fu, più che il marito, sempre distolto dalle vicende e dagli intrighi politici e militari del suo tempo, a seguire con la necessaria attenzione gli artisti impegnati nelle fabbriche ducali. Sono significative testimonianze di ciò, per l’Imperiale, le due iscrizioni realizzate da Pietro Bembo per volontà della Duchessa Eleonora: nella facciata esterna – FRANCESCO MARIAE DUCI METAURENSIUM A BELLIS REDEUNTI LEONORA ANIMI EIUS CAUSA VILLAM EXAEDIFICAVIT – e nel cortile – PRO SOLE PRO PULVERE PRO VIGILIIS PRO LABORIBUS UT MILITARE NEGOTIUM REQUIETE INTERPOSITA CLARIOREM LAUDEM FRUCTUSQUE UBERIORES PARIAT. Eleonora Gonzaga, come prima di lei Battista Sforza ed Elisabetta Gonzaga, è la vera animatrice della vita culturale della corte pesarese / urbinate.
Un’ulteriore iscrizione posta sulla facciata esterna testimonia dei lavori, avviati dagli Albani a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, per riportare la villa all’antico splendore: AEDES MEMORIA INSIGNES AEVO LABENTES IN INTEGRUM RESTITUITAE ANNO MCMIII